Una scelleratezza in comune:

il rapimento di Lucia

venerdì 29 maggio 2009

L'Innominato, dalla crudeltà alla conversione


L'Innominato è un personaggio de I promessi sposi chiamato così per il nome sconosciuto. Egli è una delle figure psicologicamente più complesse e interessanti del romanzo. Personaggio storicamente esistito nel quale l'autore fa svolgere un dramma spirituale che affonda le sue radici nei meandri dell'animo umano. L'Innominato, figura malvagia la cui malvagità più che ripugnanza forse incute rispetto, è il potente cui Don Rodrigo si rivolge per attuare il piano di rapire Lucia Mondella. In preda a una profonda crisi spirituale, l'Innominato scorge nell'incontro con Lucia un segno, una luce che lo porta alla conversione; solo in un animo simile, incapace di vie di mezzo, una crisi interiore può portare a una trasformazione integrale. Durante la famosa notte in cui Lucia è prigioniera nel castello, la disperazione dell'Innominato giunge al culmine, tanto da farlo pensare al suicidio, ma ecco che la Provvidenza e le parole di Lucia lo salvano e gli mostrano la via della misericordia e del perdono. La sua conversione giunge dopo la notte angosciosa, infatti quel giorno giunse nel suo paese il cardinale Federigo Borromeo, personaggio storico. La scelta di Manzoni del personaggio per attuare la conversione non è certamente casuale, infatti solo un uomo di una bontà somma come il cardinale poteva redimere l'Innominato. Questi due personaggi si possono assumere per certi aspetti come opposti. Dopo la conversione l'Innominato cambia completamente e coglie al volo l'occasione per fare del bene in maniera proporzionata al male che fece. Si narra che a Bagnolo Cremasco visse, tra il millecinquecento e il milleseicento, quel brigante terribile che Alessandro Manzoni fa rivivere nel suo romanzo storico, con l'appellativo di Innominato. Altre fonti fanno invece risalire la figura dell'Innominato a Francesco Bernardino Visconti, personaggio storico del quale Manzoni è discendente da parte di madre, Giulia Beccaria. Quest'ultima infatti discendeva dalla famiglia Visconti, che aveva la propria dimora estiva presso Palazzo. Amava razziare nelle campagne cremasche della Repubblica di Venezia e poi si rifugiava nelle terre del Milanese. Visconti era il feudatario di Brignano Gera d'Adda, come Manzoni stesso afferma in una lettera a Cesare Cantù. Nel "Fermo e Lucia" (1ªedizione) l'innominato veniva chiamato "Il Conte del Sagrato", in riferimento ad uno dei suoi tanti omicidi, avvenuto appunto sul sagrato di una chiesa. In seguito pare che Manzoni ne cambiò il nome poiché questo in un certo senso ne immiseriva la condizione titanica e ribelle, rimandando allo squallore di un omicidio. Nei luoghi manzoniani viene indicato come castello dell'Innominato i resti di una fortificazione posta nel comune di Vercurago in località Somasca. Del castello, costruito su di un dirupo in una posizione che domina la strada che collega Bergamo a Lecco e il sottostante lago di Garlate, rimangono un torrione e parti delle due cerchie di mura.

Don Rodrigo, il signorotto del paese


Don Rodrigo è un personaggio letterario de I promessi sposi di Alessandro Manzoni. Nasce in una famiglia povera e appare nell'opera ottocentesca di Manzoni come antagonista in quanto si oppone al matrimonio di due umili personaggi quali Renzo e Lucia. Incarna lo specchio del suo tempo, di quel Seicento di cui il Manzoni ci ha lasciato il quadro più vasto, multiforme e completo che sia mai stato fatto. Egli viene descritto indirettamente nel V capitolo dell'opera in cui Padre Cristoforo giunge al suo "palazzotto". Come si può leggere dalla descrizione data dal Manzoni al suo villaggio, costui era un personaggio che viveva nel crimine e la sua malvagità non conosceva limiti. La descrizione del luogo può infatti essere attribuita allo stesso don Rodrigo, che non si faceva scrupoli di commettere ingiustizie. Manzoni omette la descrizione fisica di don Rodrigo ad eccezione di tutti gli altri protagonisti del romanzo, come se gli fosse negato il diritto a essere considerato una persona. Certamente questa punizione è più grave di qualsiasi altra condanna esplicita. Anche gli abitanti sono di pessimo carattere e tutti sono malfattori, cosa che sta a sottolineare la condizione di vita di don Rodrigo, capo di questa organizzazione. Signorotto locale, potente e meschino, mosso dall'orgoglio di casta e dal terrore della superstizione, si trova al centro della macchina narrativa per una scommessa e un capriccio. La sua forza non è reale ma è costituita dai Bravi, che nascondono la sua debolezza. Morirà di peste.

giovedì 28 maggio 2009

Gertrude, la monaca di Monza


Per presentare Gertrude, Manzoni si ispira alla storia realmente accaduta di Marianna De Leyva, in religione suor Maria Virginia, nota nel romanzo come la Monaca di Monza o la Signora. Il Manzoni dedica uno dei più lunghi e particolareggiati excursus del romanzo, ripercorrendo la storia di un’ingiustizia che si origina all’interno dell’apparentemente rispettabile società nobiliare secentesca. Figlia di un principe tra i più influenti di Monza, Gertrude è infatti vittima infelice dei pregiudizi, dell’ipocrisia e dell’insensibilità del suo stesso ambiente sociale. Monaca per forza, ella è però soprattutto una vittima rassegnata, e quindiin un certo qual modo complice di chi la tiranneggia: non sa o vuole accettare la propria condizione, né sa o vuole ribellarsi ad essa; così, tutto il suo comportamento, i suoi atteggiamenti risentono costantemente di questo straziante dissidio interiore, fonte di incessanti inquietudini ed insoddisfazioni. Donna debole, incapace di volere, schiacciata dal peso delle istituzioni (la famiglia, la religione) e della malvagità altrui (l’amante Egidio la ricatta e se ne serve per i propri scellerati fini), Gertrude costituisce, in ultima analisi, l’unico, personaggiotragico de I promessi sposi: a lei il Manzoni si accosta sempre con un profondo senso di pietà e di rispetto, per quanto non si pronunci mai né per condannarla né per assolverla. Che si tratti di una monaca “singolare”, fuori dell’ordinario si intuisce fin dalla minuziosa descrizione che il Manzoni ci offre di lei, a partire dalla superbia emanata dai suoi occhi neri che chiedono affetto e pietà, ma da loro traspare anche preoccupazione, insicurezza e svogliatezza orgogliosa; le gote pallidissime rendono i lineamenti del suo volto delicati e graziosi; le sue labbra, tinte di un rosa sbiadito, si muovono in modo misterioso e vivo. La vita attillata con cura e i capelli che escono dal suo velo dimostrano il suo disprezzo delle regole monastiche. L’aspetto fisico di Gertrude lascia intuire le sue caratteristiche interiori: superbia, timore, odio, orgoglio, ma anche un disperato bisogno di pietà e comprensione. Questi suoi aspetti caratteriali provocano soggezione e paura in Lucia nel suo primo incontro con la monaca. Nei capitoli IX e X del romanzo, Manzoni esprime la propria opinione sull’educazione impartitale dal padre, che in ottemperanza all’assurda legge del maggiorasco (consiste nell’accentramento di tutti i beni della famiglia nelle mani del primogenito) costringe la figlia a entrare nel monastero, comportandosi in maniera falsamente affettuosa, al fine di farle credere che si tratti non di un’imposizione bensì di una scelta che lei stessa ha maturato. Per indirizzarla alla vita monastica fin da bambina le venivano regalate bambole vestite da monache da genitori e parenti. Con questo personaggio il Manzoni intende condannare tutta una società che sforza e viola la naturale volontà dell’individuo per ragioni di calcoli e di interesse. La giovane non riesce ad opporsi alle disposizioni paterne, sapendo che il suo carattere estroverso ed esuberante è incompatibile con le regole monastiche. Neppure la segreta e scandalosa storia d’amore con Egidio procurerà gratificazione ai suoi istinti repressi; lo “scellerato” sarà anzi per lei cagione di nuove inquietudini poiché la costringerà ad eseguire i suoi ordini, non ultimo quello di aiutarlo nel rapimento di Lucia per conto dell’Innominato. Alla fine del romanzo il personaggio di Gertrude subisce una svolta interiore decidendo di riscattarsi dalle colpe commesse, attraverso una vita di sacrifici e punizioni, dura si ma finalmente frutto di una libera scelta. La storia di Gertrude (o meglio Geltrude, come veniva chiamata nel Fermo e Lucia) , aveva, nella prima stesura del romanzo, un'estensione ben maggiore. Se già i due capitoli dedicati alla monaca di Monza ne I Promessi Sposi sono sufficienti a conferire alla sua storia un grande risalto, facendo di Gertrude uno dei personaggi più difficili a dimenticarsi, i sei capitoli che questa vicenda occupava nel Fermo e Lucia rappresentavano un vero e proprio "romanzo nel romanzo".